vincitore premio produzione Festival Fringe di Napoli con debutto Teatro Nuovo « sala Assoli » Giugno 2015
da un’idea di Maria Carpaneto
Interpreti e coreografie: Maria Carpaneto e Ivana Petito
Immagini video: Marco Maccaferri – Andrea Canepari
Drammaturgia Musicale a cura di Maria Carpaneto
Suggerimenti musicali di Emanuele de Checchi
Luci: Paolo Casati
Produzione: Il Filo di Paglia e Fondazione Campania dei Festival
Con il sostegno di CIMD, Quelli di Grock.
Un ringraziamento particolare a: Susanna Beccari, Emanuele De Checchi, Maria Consagra, Andrea Ruberti, Marco Maccaferri.
Due personaggi Femminili, senza tempo che con evocazioni sonore, gestuali e di immagine riportano a sfumature, colori, emozioni in cui tutti si possono riconoscere.
Una sottile vena ironica e un passaggio continuo di stati d’animo fanno vivere queste due donne come se venissero dalla terra. Due creature che fanno rinascere e rinascono dalle mura, dai suoni, dai colori, dalle temperature del sottosuolo per fondersi con i luoghi intrisi di storie di gente comune e al tempo stesso straordinarie. Un ricordo vivo nel passato e nel presente.
…dicono di noi…. :
Due vite in una.Due donne, tante storie. C'è una poesia che sa d'altri tempi. Una leggerezza che trasporta in un altro mondo. Uno stupore semplice che avvince. E c'è una danza che nasce da corde interiori, e si raccorda con movimenti che da terra s'alzano in piedi a disegnare intrecci e giravolte, vincoli e solitudini, fughe e ritorni, abbracci e mancamenti. Sembrano tenere figure beckettiane quelle cui danno respiro e consistenza Maria Carpaneto e Ivana Petito nel loro prezioso spettacolo “Arie di Carta” (vincitore del premio produzione al Festival Fringe di Napoli 2015), un teatro-danza denso di rimandi per raccontare la relazione tra due singolari creature senza tempo, catapultate sulla scena a vivere l'arco dell'esistenza. Prendono densità da terra con movimenti tremolanti sotto i loro abiti bianco e nero che ne fanno un'unica forma, un'unica entità. Si staccano, si distinguono, si alzano, hanno gesti da marionette, sollevano la testa, si tolgono la polvere – di borotalco – del tempo abbracciandosi, volteggiano come carillon, danzano e si spostano rasoterra. Si osservano, sorridono, cadono, si attorcigliano, si districano, si accovacciano stuzzicandosi a vicenda, ciascuna col proprio atteggiamento, una composta l'altra sgraziata; si adulano, si esasperano, si incoraggiano. Sono stati d'animo mutevoli che i gesti e le azioni danzate delle due brave interpreti e coreografe ci restituiscono con grazia e chiarezza. Una sottile vena ironica scorre nel loro rapporto vulnerabile, continuamente separate e unite anche nello scambio di personalità; una relazione che nasce e si trasfigura al suono di un clavicembalo di Bach, di una canzone francese, o di una musica d'opera, mentre in un angolo del fondo scorrono delle immagini che dall'iniziale viso di un bambino termina con quello di un'anziana, a dirci lo scorrere temporale della vita. La danza acquista forza quando, spogliate e rimaste in sottoveste, le due donne si muovono avanti e indietro in un corridoio di luce, disarticolando braccia e gambe mentre i lunghi capelli ondeggiano turbolenti, per poi ritrovare la calma dei sensi. Nel ricomporsi sembrano attraversare un'altra epoca, e, come fotogrammi di un film muto, si rivestono a scatti, bloccandosi nei gesti, riprendendo movimenti da moviola, danzando a terra, trascinandosi, volteggiando, camminando veloci in ginocchio, scorrendo con piccoli salti l'una sopra l'altra fino a ricomporsi come nell'immagine iniziale. Anime complici, autrici di un sodalizio artistico che ha nell'ascolto e nello scambio reciproco la sua linfa creativa, Maria Carpaneto e Ivana Petito sanno raccontare il prodigio e il mistero quotidiano di ogni rapporto umano. Quello che genera altre relazioni.
Giuseppe Distefano il sole 24 ore
In “Arie di carta” Maria Carpaneto e Ivana Petito, interpreti e coreografe, sono due curiosi personaggi senza tempo, nati dalla terra per narrare il luogo in cui si palesano. Anche questo è un sofisticato esperimento di teatro-danza.
Figure femminili si accompagnano e sostengono tra nuvole di borotalco al suono di clavicembalo, archi e fisarmonica. Sono cigni agonizzanti dall’incedere parkinsoniano. Si fondono in un abbraccio avvolgente, complice, capace di scongiurare il limite e di sublimare nel lirismo.
Vincenzio Sardelli
Dal mio punto di vista, la danza inaugura delle relazioni tra ciò che normalmente riteniamo separato e, nello stesso tempo, o proprio grazie a questo gesto, separa ciò che pensiamo debba restare unito. Si potrebbe dire che la danza è l’avvio della relazione impossibile, perché si congeda dalle relazioni stabilite e ritenute ‘possibili’: ad esempio, unisce una parte del corpo ad un’altra perché la separa dall’ordinamento delle parti, la fa fuggire via. E nel vostro spettacolo ciò inevitabilmente accade, ma in certi passaggi è come se voleste danzare la relazione, illustrarla attraverso la danza, piuttosto che inaugurarla danzando. Le fotografie sullo sfondo sembrano voler dire ciò che state facendo, la cosa che state danzando. Dal bambino alle due anziane ridenti è come se ci fosse una didattica a guidare la danza. Questo sfondo, che non a caso dà anche il senso di uno scorrere temporale, sembra voler insegnare che lo scorrere del tempo non è che formazione di relazioni, di cui infine si può insieme ridere, con un riso di saggezza, mi pare.
Maurizio Zanardi
Ideazione e interpretazione: Ivana Petito
Disegno del suono: Gipo Gurrado
dutara: 40 min
(note di lavoro in flusso di coscienza)
un corpo di femmina li da solo che è il corpo dell’umanità tutta / nuova partenza in solitudine / nuovo attraversamento / strada dall’interno verso l’esterno con percorsi di compimento ed involuzione / il corpo punto zero del mondo / questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno parlo procedo immagino percepisco / una danza invettiva che non annuncia ma è scheggia di stella esplosa / escrescenza di vita cosmica anteriore invogliata ad umanizzarsi / da dove venga questa voce astorica è bello dirselo perché la risposta è da tutto / il piacere serpeggia come stato fisico e ricerca costante nel movimento / assumere senza mortificazione la bellezza femminile del corpo in movimento / bellezza respiro piacere dell’occhio che guarda e del corpo che si muove in questa comunione stato di grazia / dostoevskiana memoria di ciò che salva il mondo / ciò che raccoglie in sé bellezza ed orrore è popolare / zona dell’esplosione del fuori del segno che si sporca del controllo che si disperde della sottesa follia / il sacro schiuma fuori da posture ataviche / il divino da cui siamo abitati / colui che prende la parola / l’umano esistere il senso delle cose terrene che si dileguano / la legge spietata del Nulla /
Cosa mi succede?
cangiante
donna/madonna/madre/sposa/santa/strega/ex-voto/prefica
immersa in una saturazione di rumori
avvolta nelle trame dei bianchi
sommersa in paesaggi di lava e di mare
alla mia Terra
radice intorno alla quale come serpe accanita
buona parte di me si è affissa
Ivana Petito
Ideazione e interpretazione: Ivana Petito
Musiche originali: Andrea Ruberti
Sostenuto dalla Junge Hunde e Sosta Palmizi
dutara: 40 min
Si affaccia sulla scena la donna-zebra: umana, bestiale, divina. Dialogo per una zebra è un viaggio interrotto in gola, nelle fauci roche dell’animale, è una danza spezzata, gestuale, di figure stagliate nello spazio e di un errare all’infinito. Un dialogo fra frammenti interiori, profondi respiri, brandelli di memoria, visioni di una donna-zebra colta nella sua intimità. Un funerale quotidiano, gioco e tormento come di fenice che brucia e muore per rinascere dalle sue stesse ceneri. Inizio e fine, preghiera e mistero in un’atmosfera senza tempo dove il riso si trasforma in pianto, ed un cielo avvolge una rovinosa caduta. Un lavoro lentamente apparsomi in tutte le sue visioni nato dal desiderio di ricercare in solitudine.
Ivana Petito
Tu arrivi e porti sul palcoscenico la natura, l'erba, gli odori e le orecchie dritte ed orientate ad ogni segno di pericolo, ma anche la solitudine delle quattro mura, il sabato del condominio, dove tutte le coppie lavoratrici fanno all'amore in una sorta di rito collettivo solitario, il supermercato, i figli ed un marito sconosciuto: il sopravvivere anzichè il vivere sopra. Ecco quello che succede: da una parte la natura dimenticata e dall'altra la quotidianità che inesorabile e soffusa scandisce il ritmo della vita verso la sua conclusione da sempre esorcizzata. La zebra prende il tram, parla con le amiche al telefono, si trucca per uscire, soffre per amore. E mangia l'erba, cammina autistica in un recinto, sbatte il muso e si gratta, dorme in piedi. In questo modo, la strana "via di mezzo" (concetto tutt'altro che cristiano!) che si produce nella sincera estasi finale appartiene ora all'espiazione, ora alla liberazione dal peccato, ora all'elogio della fuga, ora ad un erotismo fortemente legato all'idea di riproduzione e conservazione della specie (caratteristica che anche le femmine umane hanno ben conservato nella scelta del proprio partner riproduttivo); la nostra zebra è una donna e la nostra donna è una zebra. Ecco che allora l'immagine e la percezione di un corpo femminile bello ed armonioso, sfonda il velo patinato che lo imprigiona e si mostra imprendibile, l'immaginario si blocca nel suo cavalcare fantastico e trova davanti a sè una "realtà metafisica" che lo sbatte contro il muro chiedendo:"cosa ami veramente di me?". La zebra riporta tutti alla natura abbandonata, la donna/zebra alla natura attraversata e dimenticata. Allora ritorna attuale l'idea di un angelo che propone la sua natura "mostruosa", definitivamente schiacciata l'idea edulcorata e rassicurante di luce divina, rinnovata l'impronunciabilità del nome di dio. Siamo davvero tutti angeli caduti.
Bruno de Franceschi
Atto performativo vagamente ispirato a "Il lago dei cigni"
con: Gaia Barbieri, Maria Vittoria Caputo, Michele Frettoli, Rossella Guidotti, Luana Lippolis, Elena Martelli, Bruna de Almeida, Matteo Stefania, Isabella Pozzi, Michela Pizzicannella, Raffaella Ricciardella ed Eleonora Zampierolo.
musiche di Pyotr Ilyich Tchaikovsky
La casa.... è un occasione performativa abitata da attori, danzatori, performers animali e bambini che vagano nelle stanze delle case che di volta in volta li ospitano. Avvolti da una coltre di nebbia che quasi per destino si portano dietro come scia, attraversano stati e atti del corpo giocando ai vari personaggi della storia, sotto lo sguardo anarchico mutevole ed indifferente dei due soli guardiani neri del lago:un cane e un bambino.
Istintivamente e vagamente ispirato alle atmosfere del balletto ottocentesco vive un lago folle ironico e barocco..... c'erano una volta delle fanciulle che avevano subito un sortilegio: essere trasformate in cigni.
Ivana Petito
7 azioni singole, 7 creazioni, 7 visioni, 7 stati del corpo rappresentano uno spettacolo compiuto, globale; espressione della mediazione tra umano e divino.